5 buoni motivi per sviluppare al massimo continuità assistenziale fra sanità e sociale
5 buoni motivi per sviluppare al massimo continuità assistenziale fra Sanità e Sociale:
1) la famiglia non deve essere lasciata sola alla dimissione ospedaliera;
2) serve la possibilità di coordinare le cure;
3) avere un piano di dimissione;
4) formare i familiari di fronte alla nuova disabilità;
5) integrare i servizi nel rapporto col territorio.
Tutto questo è indispensabile per i casi di Lesioni Cerebrali, ma lo è anche per tutti i casi complessi che coinvolgono pazienti gravi e le loro famiglie.
Più un’idea è “rivoluzionaria” e più è di difficile attuazione. Anche per questo i risultati iniziali sono spesso modesti.
Per mantenerla viva e non relegarla all’oblio del fallimento, si tende a cambiarle il nome, sperando di rinnovare – insieme al vocabolario – anche gli entusiasmi. Rivisitare l’evoluzione nel tempo di un’idea è un altro modo – forse più trasparente – di valorizzarla, apprezzandone le diverse sfumature, notando come queste vengano abbandonate e poi riprese, riconoscendo in questa dinamicità anche le influenze delle nuove prospettive che emergono nel contesto di riferimento.
Per questo ci è molto piaciuto un articolo pubblicato su Family Practice (How unique is continuity of care? A review of continuity and related concepts) che, focalizzandosi sull’idea della continuità assistenziale, ripercorre l’evoluzione nel tempo dei modelli proposti per fronteggiare un problema diffuso nei sistemi sanitari occidentali: il trasferimento dell’impegno sanitario e assistenziale dalle persone in stato acuto a quelle affette da condizioni croniche e multiple. Lo scopo è quello di ricostruire le differenze e similitudini tra i molteplici concetti sottesi alle definizioni di continuità delle cure e fissarne i valori essenziali.
Dalla lettura dei soli titoli gli autori estrapolano una lista di concetti collegati alla continuità assistenziale, ospedale e territorio, dalla quale selezionano i più frequenti: coordinamento, integrazione, patient-centred e case management.
Questa revisione storica aiuta a spiegare la curiosa circolarità delle definizioni, integrazione definita come coordinamento, coordinamento definito come continuità, continuità definita come integrazione. Soprattutto aiuta a dare significato ad un’auspicata ampia collaborazione per la efficace realizzazione di un modello di assistenza che non può attendere, salvaguardandoci dalla tentazione di inventare un nuovo termine.
Serve quindi continuità assistenziale fra ospedale e territorio: serve ai pazienti, serve per facilitare la ripresa fisica e cognitiva, serve per includere e serve alla famiglia.
Per approfondimenti:
https://www.traumacranico.net/continuita-assistenziale/